lunedì 2 novembre 2009

Si risveglia il folletto

Si risveglia il folletto Confetto
per la festa finale d'ottobre
dopo quella del vino e del luppolo
nell'Europa invasa da scherzetti
con risate di grandi spiriti
che fumano sigari alla crema
e ballano sudati la passacaglia.
Confetto prepara i suoi miscugli
che dovrebbero sembrare dolciumi
e paiono cavolini di Brussel
o peggio, è meglio non dirlo.
Intride le fave dei morti
nello sputo dei pomi selvatici
e gusci di noci e castagne
nella cacca dolce dell'ape.
Chi vuole tali schifezze?
In lontane ottobrate gialle
Confetto era da cerimonia
stimatissimo sommelier di corti
con sovrani spiritosi, avvezzi
agli affari balordi dell'uomo.
Non temevano pastiglie, dolcetti
scherzetti procurati da bilioso intrigo.
Lanciavano gli assaggi al buffone
alle galline, ai maiali, ai cani.

Mentre s'indossano i mascheroni

Mentre s'indossano i mascheroni
per apparire diversamente, piove.
Natura scolorisce tremula
nella solita nebbiolina argentata
che annuncia i morti e il Natale.
Il lago dei cigni è verdognolo
i germani giocano all'acchiappapesce
e le statue sono mummie di pietra.
Mazzi di crisantemi o morticini
per allontanarvi con la puzza al naso
né fine, né Dio a riprendervi.
Io, tra voi e gli umani
sorpreso d'aver solo paura
della bruttezza, non di scadenze
o assenze d'un vero disegno
dietro a quest'apparenza ingombrante
zeppa di dolcetti e scherzetti.

Se hai paura del buio

Se hai paura del buio
prendi una grossa torcia
e scendi nei sotterranei petrosi
che si sgretolano al tuo passaggio.
Là trovi ancora il gatto morto
che s'aggira a coda ritta.
E' inutile che gli chiedi
perché sia così spensierato.
Forse è il luogo dove andrai
con l'ultimo sogno. Chiudi gli occhi.
Non essere impaziente di campare
dopo cento anni nel labirinto
un milione di notti sprecate.
Anche tu porgerai i saluti
nell'ora che spegne ogni visione.
Sfumerà l'abbraccio dell'orco
assieme alla tua cattiveria
agli abbandoni inammissibili
ai capricci della principessina
nata povera, sempliciotta
senza scarpe per nessun ballo.

Oggi è il compleanno del clown

Oggi è il compleanno del clown
felice e impassibile. Per l'occasione
egli indossa la divisa del milite ignoto
che sorveglia gli attentati alle statue
e ai rapaci dallo sguardo curiosone.
Fa un girotondo con i bambini
che non sanno d'essere al mondo.
Ha il viatico di viceré conquistatori
mandati nell'impervia regione
dove Alì Babà ha ucciso i ladroni
Babalì dalla barbaccia incolta
cresciuta con pidocchi saltellanti.
Il clown felice ha con sé
le forbicione da vendemmia
per estirpare pelo a pelo
e verderame per togliere le zecche.
Dopo la potatura egli spargerà nell'etere
intensi profumi di mille e una notte
e musica sinfonica continentale.
Scarpette rosse che non si fermeranno mai.

Balliamo il saltarello

Balliamo il saltarello, o innamorati
nel giorno dell'omaggio ai defunti.
Ti ricordi, ora che è freddo
e il sole tramonta troppo presto
di quanto m'hai amato, sudando
come un turco dietro alla tenda chiusa
immacolata oasi, rampa di lancio
per sfuggire ad ogni cattura?
Rubiamo istanti preziosi, o amanti
alle anime morte che chiamano
dalla spoglia radura per aver compagnia
nella pace giusta non ancora per noi.

Mentre si sfilano portafogli

Mentre si sfilano portafogli vuoti
e megere vendono a prezzi altissimi
merce avariata da vermicelli neri
il fanciullo siede su comoda poltrona
con un piede a scaldare sotto il culo
e l'altro a penzoloni, ritmico.
Egli scrive rime amarognole
come le ciliegine da maraschino
mentre ogni matto fabbrica bombe
o alleva locuste e vespe pungenti
innervosito da una luna di traverso.
I sorveglianti del tempio russano
e le oche sono scomparse da secoli.
Speriamo che antichi fantasmi
veglino in segreto sulle colonne
prima che sia luna cieca
e l'umano riesca, criminale qual è
a rovinare l'immota concordia
nella casa nuziale di cielo e mare.
Per invidia, solo per invidia.

E' il percorso delle bacche

E' il percorso delle bacche rosse
quello più sicuro per godere
la magnetica pace d'autunno
ancor giovane, colmo di frutti golosi.
La mia stagione fermenta nel mosto
mentre gli umani vanno a caccia
dei loro simili impazziti, sparpagliati
tra le foglie marce e le pigne.
Qualcuno è in agguato dietro ai veli
della statua primavera, e l'estate
si difende con spighe pungenti
per l'amante sole a riposo forzato.
Pensaci tu, o inverno a celare
sotto il mantello il fuoco sacro a Venere.
Che le mummie egizie siano
pantere divoratrici di assassini.
La piazza del popolo è in mani di pietra.
Dormi tra due cuscini piumati
o folletto passeggiatore instancabile
solitario anelito nella vegetazione.

Quanti s'avanzano

Quanti s'avanzano esterrefatti
per il largo viale dei Pupazzi.
Atterriti dai cantori, dagli inventori
dai novi visitatori del mondo
che vagano liberi da ogni catena
ridendo di toghe e feluche stantie
dal naso incipriato, i bocconi deformi
le tasche zeppe di cose indecenti.
Ogni tanto sostano a riprender fiato
sorridono a denti stretti per darsi arie.
Spesso soffiano dentro ai tromboni
per esaltare i vetusti manieri
infestati di pulci e pipistrelli.
E le dame starnutiscono
per troppa polvere addosso.
Smarrite s'aggrappano al guinzaglio
di poveri cani spelacchiati
spaventati più dei loro padroni.

Gli amori scomparsi

Gli amori scomparsi bussano
alle porte del sonno tormentato
tirando via le coperte dal letto.
Mi lasciano seminuda coi piedi gelati
mentre svolazzano come vampirelli
sopra desideri ben ripiegati
sul tavolo da lavoro, o dentro
ai cassetti con la biancheria fresca.
Essi sborbottano dell'orologio che suona
e il pesante alito dell'isolamento
entra nella camera di clausura.
Occorre che spalanchi la vetrata
anche se s'agita il maestrale arcigno
sbattendo malignamente per terra
l'ultima bocca che io ricordi
e rifiutai per non vederla appassita
come allegro tulipano rosato.
Io guardo e consumo ciò che possiedo
del resto poco m'importa.

Siete i più vivi tra i morti

Siete i più vivi tra i morti
nel bene, male, sale della terra
o giovani che correte al parco
con le cornacchie e altri rapaci a spiarvi.
I vostri antenati galeotti e generosi
combatterono tristi guerre ovunque.
Come quando giunsero nell'Europa
del sadico tedesco, con i sudditi isterici
ad adorare i suoi esigui baffetti.
Io come i miei avi voglio cantare
la bellezza delle vostre fatiche
per l'ingovernabile mostro umano
senza intercessione diretta
d'antichi dei simili a voi.
Io sono lo schizzo di fango
sulle divise dei fanciulli armati
e vorrei essere lo scudo d'Atena
lo sputo di fuoco di Efeso.
Ma forse sono il cieco poeta dei guerrieri
che scriveva senza vedere i segni.

Assurdamente ingabbiato

Assurdamente ingabbiato nell'origine
con l'anelito a circondare il cielo
e farlo mio in un modo o nell'altro.
Stai solo mutando la percezione
senza alterazioni di sorta, semplici idee
concentrate in un marchingegno
nei tempi al passato interdetti.
C'è qualcuno che vuol accomodarsi?
O restate a trangugiare formaggio
come topi di lusso, formicolanti
nella cantina del palazzo d'inverno?
Hanno perso una valigia
ma dentro c'è carta da buttare
che vola veloce sul marciapiede.
Io adoro il mio dio
sotto la cupola più bella di tutte.
Ad ogni luce la pietra si cambia
in madreperla, in zaffiro, in lieve corniola.
Felicemente al centro della piazza
me, posto unico, porto sicuro.

Eterno conflitto

Eterno conflitto, mai pace sia
per chi non ama il sangue rosso
che infiamma di desiderio di conquista
ogni uomo che dimentica se stesso
e insegue la sua buona stella.
E sono quelli che vanno più lontano
coloro che odiano per troppo amore
veri assassini puri degli insetti.
Essi non si dilettano nei dolori
ma ricercano il potere innocuo
in ogni istante della loro giornata.
Non c'è religione negli spazi aperti
che non rispetti la regola d'oro
di Dio che accorre per la sua creatura.
La raggiunge in sperduti posti
nei paesini arrampicati sui monti
dove è arduo che esista il tempo
tanto è difficile trascorrere le ore.
E se c'è un delitto, c'è un umano
e c'è il suo dio che lo accoglie
nello splendido paradiso, o all'inferno
ancora più lucente di fuochi.
Io mi libro nel nulla, sopra le nubi
e non cerco mai di atterrare.

E' un semplice sogno

E' un semplice sogno che tiene in vita
il barbone e la sua signora
nella stazione tra arrivi e partenze
partenze e arrivi, tra gli uccelli a beccare
le briciole che cadono dai finestrini aperti.
Lui è molto indaffarato a sistemare
vettovaglie e scarpe, coperte e scatole
e a zompettare, a ciarlare col fiasco di vino
che è andato in aceto, con lo sguardo lucido
che terrorizza i viaggiatori perbene.
Lei trascina avanti e indietro
un grosso carrello della spesa
colmo di cianfusaglie raccattate da terra.
Ed io che li osservo dal treno
per gli altri passeggeri sono
il pazzo che ha il sogno
dei miei due cari barboni.

Cosa avete fatto al clown

Cosa avete fatto al clown
nato per esibirsi comunque
facendo cucù dalle tende vellutate
mentre gli spettatori prendono posto
sui balconcini stuccati più in alto?
Nulla avete potuto. E adesso
lui se la ride a crepapelle
alle vostre spalle, o ingenerosi.
Poteva regalarvi senza sforzo
momenti d'indelebile soavità
inutili, ma salutari scherzetti
per spezzare giornate barbose
di calcoli, insanie, mugugni.
Io so che avete agito
sotto influssi emotivi biliosi.
Dovevate essere più accorti
coi richiami della natura.
Essa si vendica amaramente
privandovi del riso e del pianto
d'un suo figlio eccellente, portato
per aria, adagiato sopra il mantello
spiegato a coprire il creato.
E il clown si esibisce dove vuole.
Non potete più raggiungerlo
nemmeno quando va in cucina
a cuocere patate e rosmarino.

I colori del mese natio

I colori del mese natio
sono quelli d'una tavola imbandita
con i resti d'un suntuoso banchetto.
Molliche di pane ben cotto, bucce d'agrumi
gocce d'olio, crema, cioccolato
fragoline appena raccolte, castagne bollite
macchie di vino rubino, caffè forte.
Spalanchi il portone di casa
con lo stomaco in disordine
e scorgi un paesaggio pulito
proteso in un abbraccio violaceo
con i fumi sporchi dei camini.
Il sole è nel campo, ammansito
da una fitta coltre di nebbia.
Ecco il fanciullo di foglie.
S'avanza splendido e muto
rubicondo monello in attesa.

La storia del mio fiume

La storia del mio fiume tortuoso
non la so per intero. Chissà
se il suo letto raggiunge una foce
o resta imprigionato tra i sassi
e i rami contorti della palude.
Prima della fattoria coi cavalli
c'è un percorso da piccola giungla
dove vanno a strisciare le serpi
aspettando di pizzicare perbene
chi è alla cerca di funghi porcini.
C'è un ponte un po' barcollante
sopra il canoro scorrer dell'acqua
barbabietole e zucche arancioni.
Huck e Tom vanno a lucertole
assieme a mio padre smemorato
a fiume, lungo il fiume natio.
Nell'aria c'è qualcosa di lui
che gioca alla guerra e all'amore.
Scalzo e felice, discolo monellaccio
che lega le noci alla coda del gatto
o lo butta dalla finestra
per vederlo atterrare a zampe larghe.

C'è già la neve

C'è già la neve a Burgos
prima ancora che nasca Gesù.
Nella notte i monaci pregano
e sognano oasi ardenti di sole.
Uno studente legge ad alta voce
poesie di paesi distanti
e sospira, udendo il pettirosso
che canta d'amore per non morire
tra i fiocchi che cadono fitti.
Vicino al pozzo eroica resiste
una margherita intirizzita
nell'alba che sorprende l'abbazia
odorosa di pane e ricotta.

Cosa me ne faccio

Cosa me ne faccio adesso
di quella campagnola sempliciotta
che io ero qualche anno addietro?
Potrei ancora portarla alla fiera
a comprare croccantini di mandorle
o chiuderla in casa coi fiori di zucca
al riparo dai gemiti del mondo.
Ma lei era già tanto curiosa
e potrei celarla per poco tempo
alla vista dei lupi mannari
specie se indossa il cappottino rosso
con la borsa a cestello per la frutta.
E' imbarazzante il pensiero fisso
di questo peso morto adagiato
sulle mie fragili spalle d'adulto
un po' per gioco, un po' per scommessa.
Perché si è mutato lentamente
il primo strato della mia pelle.
Null'altro e non è molto.

C'è un attimo incantevole

C'è un attimo incantevole
in cui io sento d'aver compreso
l'enorme turbolenza, il sibilo
di vita e morte assieme.
Odo il suono del povero organetto
che invita lirico a scendere
ad andare dietro ai suonatori
per vie poco frequentate, col mendico
all'angolo fulminato, senza bottega
dove comprare quello che occorre.
Chi non può fare la carità
poiché è già alla gogna
e si finge ricco per sfuggire
all'inesorabile fossa comune
è lì appresso. E sta bene
a pisciare dietro ai cespugli.

E' un cimitero con visite

E' un cimitero con visite
il centro dell'Urbe a Natale
coi ricconi rozzi che cercano
l'addobbo più vistoso per la tomba
del caro estinto. Un'esibizione
d'ogni carosello, tra presepi viventi
che sfornano castagne e porgono il piattino.
Mancano i cammelli, in questa Galilea
coi re magi incattiviti, adiposi
in gara per i gironi dell'inferno.
Riescono a sporcare ogni via
dove barcollano, urlando ai quattro venti
la loro fine imminente.

Ritroverete fogli

Ritroverete fogli scritti a matita
sporchi di terra e fili d'erba
in una stamberga ai limiti del mondo.
Li avevo nascosti accuratamente
dapprima sotto al letto cigolante
poi dentro al materasso sfatto.
Ero famoso un tempo per scappare
da forche, spade, dalla gogna
di celebri e stimati inquisitori.
Veloce come un pavido leprotto
furbo come la povera faina
che divora in un boccone
la sua stupida gallina
ma solo per estremo appetito.
Chi son io? Lo sfollato poeta
del paradiso appena inaugurato.
Se grattate una tomba di parole
i miei esigui resti si moltiplicano
e più scavate più ne troverete.
Nascosi bene i detti
per non aver le mani mozze.

Ecco l'arco della stella

Ecco l'arco della stella cometa
una carta frangiata di seta
che rigira i destini insegnati
con grande scrupolo d'artista
e li affida al buio infinito.
Uno spazzacamino è salito
con funi d'acciaio lassù.
La sua scaletta è appoggiata
ai bastioni compatti.
Egli è sulla candida cupola.
Fa un salto tra le lucciole
per spolverarne la pancia.
Non scenderà che a Natale
quando i brillanti cuciti
sulla groppa del campanile
saran lucidati a puntino
assieme ad ogni oggetto celeste
che sorvolerà la cittadella dormiente.

Io vivo tra statue

Io vivo tra statue deturpate
dall'affannoso correre dell'ora
solari divinità mutilate
che mirano orizzonti fissi
incapaci d'antichi sortilegi
che portavano acqua e farina
nel mezzo di cruente carestie.
Templi crollati, altari profanati
cosa dovevo essere, se non poeta?
Dicono che la civiltà s'è spostata
in altra latitudine ignota. Quale
di grazia? E cosa fanno oggi
gli umani, se non le stesse cose
senza più sacri fuochi e numi?
Gli dei si divertono ancora
per mia felice ispirazione
alla faccia delle mummie e delle scimmie
che bazzicano il pianeta tondo.
Si verseggia per non imprecare.

Il folletto di dicembre

Il folletto di dicembre ha freddo.
Ruba il berretto al pupazzo di neve
e sente ancora più freddo.
Dove sono le mie pantofole rosse?
piagnucola vicino alla giostra gigante
dove la Befana è l'idolo del giorno.
Sorride diabolicamente alla follia umana
efficace medicina contro la paura.
Tra rumorosi sbadigli, animali arrosto
caffè, un'altra festa impazza
e tutti s'ingozzano come possono
di sardine e caviale, alcool schifoso
vini sopraffini, gioielli, straccetti.
Il folletto ha un ricordo stantio
lusso supremo senza prezzo
trepidante attesa della notte
dalle guance paonazze al focolare
o alla vecchia stufa a legna.
O buio rossiccio, portami un sacchettino
di fichi e noci. Posalo in dispensa.

E' facile notare la faccia

E' facile notare la faccia pallida
di un ragazzo russo che suona
troppo veloce la fisarmonica
alle fermate di lusso della metro
davanti agli africani rinsecchiti.
Lì s'incontrano i cattivi, vestiti bene
sguardo tagliente che sorride o uccide
senza pensarci due volte.
Io sono come loro, un po' più lento
prendo coraggio, m'aggiusto i capelli
per scendere tra i vandali veri.
Dove va quella donna russa
col cappotto da ebrea deportata
ancora una volta per punirla
della sua gioia esplosiva?
Se non sbaglia direzione
va a comprare fiori appassiti
per un piccolo cimitero agreste.
Sono tanti coloro che muoiono
invisibili come formiche.

Venite a visitare il presepe

Venite a visitare il presepe vivente
o turisti in processione alle mura.
E' il più rustico, caratteristico
che possiate ammirare in Vaticano
rasentando la strada dei venti
col gelato estivo a ghiacciarvi i denti.
Capolavoro a incastro spaziotemporale.
Quando il negozio d'ori e alabastri
chiude, s'apre la casa di cartone
sigillata con metodica precisione
dal barbone che viene da est
e si stende per lungo, ubriaco
proprio davanti al bue e all'asino.
C'è l'immensa capanna degli angeli
illuminata di rosso e d'azzurro
ma il rifugio migliore è quello
scaldato da vodka, ricordi
coi cani solitari a fiatare
tra la neve accecante sotto la luna.

Entrai clandestino

Entrai clandestino nel posto dove
avrei dovuto essere diverso da me.
Avevo lo stesso corpo, ma facevo cose
bizzarre. Ero buono, socievole, calmo
tanto che mi presi per i capelli
mi strizzai come un bucato da stendere
per suscitare una reazione chimica.
Niente. Ciò che lì ero, meravigliato
mi porgeva le mani aperte
per invitarmi a casa sua, in famiglia.
Esorbitante tavolata, con tanti figli
nel casino infernale per mangiare.
Quando uscii dalla gioia condivisa
avevo un sonoro mal di capo.
Feci le scalette del vecchio liceo
all'indietro, senza il bidello morto.
Ero di nuovo triste, fuori posto, io.

Si destò sconvolto

Si destò sconvolto dall'incubo
di dover lasciare il suo amico
che parlava da sé, si divertiva così
ed era la migliore compagnia
nelle stagioni a rincorrersi
sorridenti, a farsi gustosi scherzetti
per l'universo degli umani sciocchi.
La morte non aveva scelta.
Doveva attendere distante
il finire dei discorsi filosofici
di quel solitario scozzese
circondato da saggi animali.
Ogni sveglia, in ogni stanza
ticchettava allegra a carica
e c'era il gallo di riserva
risparmiato ai Natali con parsimonia.
Sospirava per una favola
serviva un tè agli agrumi
con la gaia teiera brontolona.
La fiaba arrivò a bussare
al laboratorio del castello
e ci fu di che brindare
con tanti dolcetti e confetti.

E' l'amore consumato

E' l'amore consumato dentro
una piccola macchina bianca
mangiando paste e biscotti
nell'umida campagna dietro al fiume.
Noi partimmo per molto lontano
senza indugio alcuno, senza paura
sfrontatamente alla volta del cielo.
Incontrammo gli orchi fuligginosi
megere nella stalla dei maiali
e potevamo perderci all'istante
nel labirinto dei privilegi fasulli.
Quante cose mirabili e squallide
abbiam visto dal tetto del cielo.
Avevamo la nostra astronave
profumosa di marmellata
che atterrava dove voleva
indistruttibile casina viaggiante.

Ad ogni inverno

Ad ogni inverno che starnutisce
io torno tra quintali di neve
al porto, alle corazzate ferme
incastrate nel solido ghiaccio
dove i bimbi sfrecciano sui pattini
come angioletti albini nel buio.
Scivolavo in piazza, al teatro
masticando liquirizia al pepe.
Tupakka, olut, makeiset
era ciò che mi occorreva
nell'interminabile oscurità polare
apprendistato alla ragione, alla penna
alla solitudine del gioco infantile
che dura fino a nuova luce.

Io decollo

Io decollo sulla scia della sfinge
verso le città della vita mia.
E con la mano tocco Berlino
con il piede Praga e Madrid.
Sono a pezzi dispersa verso Vienna
ho una fattoria d'animali in Scozia
difesa dal resto del mondo
in una densa coltre di nuvole.
Divorata da un'inquietudine perenne
che l'amore e la mia dolce condizione
mitigano solo verso maggio
quando spero che ad ogni estate
si rinnovi il miracolo del calore.
Ignoro di sana pianta gli anni
cercando ingenua di stare a terra
di mescolarmi agli altri umani
a norme alquanto bizantine
senza capirci che meno di zero.
Ignoro dove posare le mie ossa.

Pioggia innevata

Pioggia innevata, amica mia, lava via
graziosi bestiari a spasso sui trampoli
rumorosi per le mie orecchie d'elfo
originato dai due poli estremi.
Ho deposto il peso dell'esistenza
nell'angolo buio delle stelle cadute
eterno mistero, bacio del fantasma
vestito di cipria e candidi veli.
Oramai non mi dirà più nessuno
come arrivare alle fontane del deserto
e faticherò sette tuniche per trovarle.

Prima di mancare

Prima di mancare al mondo
e di tornare alla terra, a concimare
ortiche e querce colme di ghiande
rimpinzati di dolcetti e confetti.
Dai retta a Ghiottone, folletto
delle libagioni da indigestione.
Non c'è altro per cui darsi pena
di volgere indietro il pensiero
nei momenti che precedono
il buio su ciò che sei stato.
Io sono la rubiconda peste
che tenta i morituri al vizio
e li fa ingordi in santa pace
crepando di bignè e babà
cioccolatini e biscotti
montagnole di panna, crema
marmellate appena maneggiate
lussurie da leccarsi i baffi.
Non s'accorgono nemmeno di morire
tanto sono zeppi di fumi e calorie.
Il mio destino è d'ingrassare
come oca in un recinto
di diventare un pallone aerostatico
scoppiando di salute e di gas
senza poter mai trapassare.
Cerco di appioppare ad altri
la mia dolciastra sorte
un'autentica pacchia.

Ogni mattina alle dieci

Ogni mattina alle dieci in punto apre
la mia bottega di robe antiche.
Veglie mirabili a cucù, pergamene
su cui è stampato l'incomprensibile
la radio persa da un'astronave
pantofole che avanzano da sole
e un pentolone che cuoce in fretta
senza pietanze il minestrone.
Vanno a ruba le foto di gruppo
enormi ceppi contadini
che scrutano mesti i tempi nuovi
col timore d'esser di troppo.
Chiudo appena si fa scuro
e la luce solare non basta più
per pulire vetuste specchiere
le sputacchiere dei fumatori
bicchieri usati, tazzine unte.
Prendo sonno assieme ai tarli
che rosicchiano alacremente
una mobilia mai stata mia.
E' più o meno la mezzanotte.

Sono il saltimbanco

Sono il saltimbanco evanescente
sfuggito al setaccio dei pensatori
che hanno sporcato il libro sacro
con ridicoli attrezzi fuori misura.
Mi nascosi sotto le foglie dei platani
e il cappello saporito dei funghi
in mezzo alle bolle di sapone
nella pancia calda del violino
dentro la cartella di un geometra
tra riga diritta e preciso compasso.
Per giungere fino a voi, lindo
immune da ogni pensamento
che non sia sull'amore all'alba.

Quando divenni nobile

Quando divenni nobile in tarda età
mi nominai da solo Sir Turchino
e presi a girare per i soliti borghi
con un cappello piumato altissimo
tanto per darmi arie di chi è in cielo.
Ma le spiritose cornacchie l'han voluto
per farne il loro nido accogliente.
Ed io non mi sento più nobile
senza il mio copricapo capiente.
Dovrò trovare un altro orpello
da cui trasluca il mio lignaggio
altrimenti per strada più nessuno
mi farà la dovuta reverenza.

Andate via

Andate via. Voglio stare da me
nel paese di nessuno senza approdo
libero nelle parole volanti.
Ogni altro posto non va
per il cantore errante
nel suo rifugio diluviano
dove spuntano le bacche serpoline
e i cani m'accompagnano
sino alla dimora rinascimentale
stesa a prendere il sole.
C'è un laghetto ghiacciato
dalla rigida notte serena.
Ho abbandonato da poco
una porta sbarrata.
Andate a quel paese
dove non c'è l'algida bellezza
muta, incatenata agli dei.

La giovane Europa

La giovane Europa ha tante rughe
fonde come gli abissi marini
e sbadiglia annoiata di se stessa
avendo in uggia i meriggi e l'alba.
Nasconde i desideri in notti malsane.
Ed io, inchiodata a conti e marchesi
mai morti nelle loro parrucche
cosa me ne faccio della beltà stantia
buona per cappuccini e sieste lunghe?
Cenerentola nascosta in cucina
a preparare banchetti e aspettare
che esploda per aria l'ultimo dell'anno.

Sonnecchio sopra

Sonnecchio sopra il soffice manto
di verde borraccina. Il mio presepe
riluce in lontananza distrutto.
Soffio lieve sul fuoco spento
rivedendo i travestimenti, i percorsi
incrociati divelti. E la civetta bianca.
Ho scoperto una mulattiera
piena di curve e strapiombi.
Ma io in punta di piedi
mi troverò a danzare
mentre gli altri avanzano in fila.
Mani e piedi nuovi, ecco
il segreto che conduce oltre.
Nessuna conversazione inutile
posa di lacrime, cicatrice.
Devo ritrovare orme sepolte
sotto strati di borraccina
quale brioso viandante nel tempo.